Il precedente episodio in cui ho messo in evidenza il divario generazionale tra giovani e adulti – “nativi digitali” e “immigranti digitali”[1] – che nel quadro mondo reale/mondo virtuale si esprime nella profonda “distanza emotiva” che grava sempre di più sulle relazioni proprio a motivo della mancanza di comunicazione o della difficoltà a comunicare.
Questo ci porta a dover riflettere su quali siano gli idonei comportamenti da adottare per realizzare un efficace progetto formativo e di sensibilizzazione al fenomeno del cyberbullismo e quindi sulla ricerca di adeguati strumenti di ausilio per la tutela dei soggetti coinvolti al fine di ridurre e anche di prevenire il fenomeno.
Il ruolo dell’ “educatore”
Quali strumenti occorre adottare per attuare una corretta “educazione al digitale” nei confronti del bambino e dell’adolescente, il quale come “nativo digitale” non ha paura a navigare e a misurarsi con Internet e con le nuove tecnologie, passando dal mondo analogico a quello digitale con estrema semplicità?
Quale ruolo deve assumere l’ “educatore” (che sia il genitore, l’insegnante, il coach)?
Deve essere colui che per mezzo di specifiche linee guida sia in grado di stimolare i ragazzi all’apprendimento e di insegnare loro un uso corretto e consapevole del web, pur nella consapevolezza che anche noi adulti siamo fagocitati nello stesso mondo virtuale?
Riusciamo ugualmente ad essere presenti e di esempio per i nostri ragazzi?
L’educatore deve essere colui di cui il bambino e l’adolescente possa fidarsi e affidarsi per crescere insieme verso la conoscenza del mondo reale e di quello virtuale.
Colui che non deve dare per scontata l’educazione, le sue regole e applicazioni e allo stesso modo non deve percepire in una causa generalizzante le possibili reazioni ai determinati comportamenti giovanili.
E’ necessario che l’educatore sia in grado di comprendere che ogni bambino e adolescente è unico e complesso, e in conformità a questo e alle diverse situazioni familiari e sociali in cui loro stessi stanno crescendo, dovrà personalizzare il suo metodo educativo al fine di riuscire a trasmettere loro, secondo modalità differenti:
- come poter orientarsi in questo mondo,
- come poter vivere la propria esistenza, educandoli alla consapevolezza dell’altro, alla lettura delle proprie emozioni e degli effetti che i propri comportamenti possono generare sugli altri: difatti “educazione è innanzitutto insegnare a vivere”[2].
In questo processo formativo quindi è necessario che gli educatori riconoscano il proprio livello di responsabilità agendo in prima persona, non dando atto a riscontrare atteggiamenti passivi e indifferenti, minimizzando la gravità del fenomeno del bullismo come una “bravata”.
E ancora di più, con l’esplodere del cyberbullismo, dimostrarsi distratti di fronte al comportamento dei nostri ragazzi sia nel mondo reale che in quello virtuale.
Allo stesso tempo però i medesimi educatori non sempre si sentono sicuri nella gestione di una determinata situazione di aggressività giovanile. Infatti loro stessi si chiedono se in quella particolare circostanza siano stati in grado di trasmettere i giusti valori e principi di insegnamento o se i loro stessi comportamenti abbiano assunto un valore formativo.
È necessario attuare in primis un percorso educativo per insegnanti e genitori al fine di trasmetterli la consapevolezza delle peculiarità del fenomeno del cyberbullismo, delle diverse tipologie comportamentali che si riscontrano nei ragazzi e delle motivazioni che gli spingono a compiere atti violenti nei confronti dei rispettivi compagni.
Bullismo “tradizionale” e bullismo “elettronico” (cyberbullismo)
Occorre comprendere bene la differenza tra “bullismo tradizionale” e “bullismo elettronico” (ossia il cyberbullismo) per cui l’uno è l’atto che si compie “faccia-a-faccia” e si esprime nell’intento di voler fare male all’altro quindi in un’aggressività fisica reiterata nel tempo che va a gravare altresì sull’aspetto psicologico della vittima.
Questi atti perciò sono espressione di difficili e complicati meccanismi psicologici che sono indicazione di carenza dell’aspetto emotivo e umano nei soggetti violenti verso le proprie vittime, nei quali non si riscontra alcun senso di colpa e responsabilizzazione sui propri atti aggressivi.
Questa “deresponsabilizzazione” e il “disimpegno morale” mette in atto un’alterazione degli effetti che simili atti possono provocare, minimizzando i danni cagionati dalle proprie azioni e qualificando l’atto stesso come fatto divertente, come bravata: dicendo “è stato solo uno scherzo”.
I concetti base del bullismo tradizionale si applicano anche al cyberbullismo ma quest’ultimo, visto come atto aggressivo, intenzionale, compiuto individualmente o in gruppo attraverso i diversi strumenti informativi ed informatici, è in realtà un fenomeno che non sempre è reiterato nel tempo ma può esprimersi anche in un solo atto aggressivo. Atto che però, per la portata “virale” che assume nell’essere pubblicato nel web, può produrre sulla vittima danni devastanti.
Si tratta oltretutto di un fatto che accade non solo in ambiente scolastico in orario diurno ma anche al di fuori di quel contesto, anche in orari notturni, in casa nella propria stanza, facilitando in questo modo l’agire in anonimato.
Infine a differenza del bullismo tradizionale, il cyberbullismo permette un accesso immediato ad un vasto pubblico e proprio in virtù del fatto che l’azione avviene online – per cui tra l’aggressore e la vittima c’è il dispositivo elettronico che non permette una visualizzazione delle reazioni gestuali ed emotive – diventa impossibile per l’aggressore percepire l’effettiva reazione che la vittima possa avere nell’immediato e quindi gli effetti psicologici che possano derivare dal gesto virtuale sulla vita reale.
Forme di cyberbullismo
Il fenomeno del cyberbullismo è classificabile in funzione della sua gravità e forma. Distinguiamo diverse tipologie:
· quella della “sostituzione di identità” in cui nel caso specifico l’aggressore viola la password della vittima e, facendosi passare per lei, opera attraverso l’invio di messaggi intimidatori o offensivi ai suoi contatti, generando in tal modo un atto lesivo;
· quella dell’ “inganno” per cui l’aggressore crea le condizioni affinché la vittima sveli informazioni personali e riservate, che altrimenti non avrebbe mai rivelato, e poi le rende pubbliche in rete;
· quella dell’ “esclusione” attraverso la quale l’aggressore esclude intenzionalmente la vittima da un gruppo online;
· quella del “cyberstalking” per cui l’aggressore invia reiterate minacce alla vittima scelta, o anche la “denigrazione” per cui l’aggressore diffonde pettegolezzi al fine di ledere la reputazione della vittima;
· quella del “sexting” , fenomeno che purtroppo sta avendo una diffusione sempre crescente tra i giovani, che consiste nella scambio e diffusione di immagini imbarazzanti e intime in maniera capillare attraverso i social e le chat. Questo gravoso modo di agire implica una violazione della reputazione della vittima denigrata e umiliata che quindi tende ad isolarsi dagli altri, si chiude in se stessa, in un profondo silenzio fino a pensare all’atto estremo del suicidio.
Comportamenti e motivazioni: fragilità e silenzio
Esistono differenti inclinazioni comportamentali: si passa da comportamenti positivi, collaborativi e empatici, a comportamenti negativi, aggressivi fino a diventare anche distruttivi.
Per capire la reale fonte del disagio del ragazzo diventa sostanziale una valutazione caso per caso. Attraverso una corretta sensibilizzazione, formazione e informazione sul fenomeno è possibile individuare adeguate ed efficaci strategie di prevenzione e di intervento, che tengano conto che ogni individuo che compie atti di bullismo tradizionale o di cyberbullismo, e ogni tipo di atto, è differente l’ uno rispetto all’altro, per cui non sarà possibile generalizzare il tipo di intervento ma occorrerà adattarlo caso per caso.
Innumerevoli possono essere anche le motivazioni che portano i nostri ragazzi a compiere atti di cyberbullismo:
- il desiderio di potere o controllo all’interno di un gruppo di coetanei;
- la non consapevolezza di ciò che si sta compiendo sulla rete a danno della vittima prescelta e quindi delle possibili reazioni e danni che possono derivare da queste azioni.
Danni e reazioni che spesso e volentieri rimangono nel silenzio della propria stanza perché si ha paura a dirlo, perché ci si sente in difetto come fosse colpa nostra di ciò che è accaduto, perché la nostra timidezza, fragilità e insicurezza ci rende difficile, se non impossibile, relazionarci con l’altro, costruire amicizie e quindi ci pone in una posizione in cui gli altri ci vedono deboli e dunque più facilmente aggredibili, ideali soggetti per essere oggetto di “gioco” da parte di soggetti violenti.
La consapevolezza di essere fragile e insicura quindi rende la vittima vulnerabile, la paura di non essere apprezzata e accettata così come è in realtà, e di non essere capita nel proprio desiderio di essere ascoltata e aiutata, la porta a chiudersi in se stessa, in un profondo “silenzio”.
A non esprime i propri sentimenti, a non essere in grado o non avere la volontà di condividere le sue paure, soprattutto verso il mondo degli adulti. Infatti è più facile che trovino il coraggio di confidarsi con un coetaneo piuttosto che con un genitore o un insegnante.
Diventa così indispensabile affrontare il fenomeno del cyberbullismo: solamente focalizzando l’attenzione sui ragazzi, essere in grado di ascoltare, osservare, conoscere e analizzare la situazione di ogni singolo ragazzo, individuare i segnali di disagio e sofferenza che possono diventare percettibili online e mettere in atto azioni di intervento adeguate, sarà possibile evitare e gestire anche i casi più estremi.
Ma nello specifico quali possono essere le azioni da mettere in campo, a partire dal nucleo familiare, perché il linguaggio dei giovani venga compreso da quello degli adulti, perché vi sia un avvicinamento comunicativo tra nativi digitali e immigranti digitali?
Quali regole?
Spesso la mancanza di un’adeguata comunicazione tra genitori e figli, come anche tra insegnati e studenti, l’incapacità del genitore di comprendere il desiderio del proprio figlio di rispettare la propria privacy e i propri spazi, il timore del genitore di non essere in grado di mettere in atto idonei limiti alluso della tecnologia o invece al contrario la propensione ad essere troppo permissivi, rende sempre più difficile raggiungere il giusto equilibrio tra le due generazioni.
Ma come fare?
Innanzitutto dare il buon esempio, se anche noi siamo sempre e comunque davanti allo schermo del nostro dispositivo elettronico certamente spingiamo nostro figlio a fare lo stesso, se siamo troppo presi dalle nostre cose e dai noi stessi non possiamo essere un punto di riferimento e di appoggio per loro.
Quindi dimostriamo a loro che il telefonino deve essere un’eccezione e che la regola è trovare momenti di condivisione, di incontro e confronto reale non solo con loro ma anche con i propri amici, dare sfogo alla propria creatività offline, insegnare loro che occorre imparare a comunicare soprattutto nella vita reale.
E’ quindi giusto mettere dei paletti, sempre con estrema coerenza e buonsenso, secondo una condotta reciproca al fine di far comprendere loro l’importanza di un uso corretto del web ma non essere mai troppo autoritari perché ciò potrà essere controproducente e, invece di avvicinare nostro figlio, lo allontanerà di più da noi.
Siate un esempio per vostro figlio, dimostrategli e dategli modo di fidarvi di voi, non siate per loro amico ma siate un genitore comprensivo e autorevole.
Fornitegli idonei strumenti perché possa sentirsi sicuro e a proprio agio nel parlare con voi, non giudicateli ma comprendeteli, insegnate loro l’importanza di non restare in silenzio di fronte ad atti violenti subiti o fatti ad altri, di non isolarsi e non avere paura a confidarsi subito con un insegnante o con un genitore e allo stesso tempo porre molta attenzione ai possibili segnali di disagio che possano denotare un abuso subito.
Insegnategli a dosare l’utilizzo del telefonino, a non trascorre gran parte del loro tempo a fare selfie in tante pose per pubblicarle sui social o continuare a digitare parole in codice sulle chat, ma aiutateli a capire l’importanza di fare solo le foto necessarie, per immortalare quel particolare e unico momento, e l’importanza di incontrarsi con gli amici faccia a faccia così da condividere e vivere le vere esperienze ed emozioni proprie della vita reale e non di quella virtuale.
[1] BARLOW J.P., Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio, 8 febbraio 1996, Davos, Confederazione Elvetica – http://www.intercom.publinet.it/2001/manifesto.htm.
[2] MORIN E., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015.