Linguaggio giuridico e atti giudiziari

È possibile trasmettere il messaggio giuridico racchiuso negli atti giudiziari con un linguaggio semplice, chiaro e accessibile a tutti?

Nel mio lavoro mi capita spesso di leggere sentenze così prolisse e ripetitive da rappresentare un vero rompicapo per gli addetti ai lavori, figurati per chi non è del mestiere, come ad esempio le parti coinvolte nel giudizio.

Sentenze troppo lunghe, ricche di tecnicismi, in cui spesso alcuni concetti sono riportati più volte – a mio parere senza alcuna utilità – rendendo complessa la struttura del testo e difficile l’individuazione del messaggio giuridico.

Agli occhi del lettore degli atti giudiziari (ricorsi, memorie, sentenze) che sia l’avvocato, il giudice, le parti del giudizio o parti terze, va da sé che puntare a renderli più chiari, sintetici e accessibili a più utenti, rappresenta un valore aggiunto per garantire un processo giusto e semplificato.

Quindi come deve comunicare il giurista nel processo, tenendo conto della varietà dei suoi interlocutori?

La comunicazione giuridica e il giurista

Il processo è il luogo in cui l’aspetto legale, linguistico e comunicativo interagiscono allo scopo di elaborare un discorso (giuridico) che tenga conto delle scelte lessicali e del contenuto, così come dei principi strutturali e formali della comunicazione giuridica.

Ma non basta, è essenziale che il discorso giuridico formulato dal giurista sia espressione di una profonda conoscenza e competenza in materia, oltre che di una indubbia qualità linguistica e «chiarezza espositiva» che si riflettano appieno sugli atti giudiziari.

L’avvocato in un parere o in una memoria difensiva, così come il giudice in una sentenza o ordinanza, dovrebbe adottare strumenti linguistici, lessicali e sintattici intellegibili che esulino da eccessivi tecnicismi ed elementi retorici, i quali appesantiscono il testo, rendendolo poco fruibile.

Di fatto il processo non è solo comunicazione giuridica orale, ma anche e soprattutto comunicazione giuridica scritta che si esprime, con uno specifico linguaggio giuridico, negli atti processuali, necessari di per sé a:

  • instaurare un processo (es. atto di citazione, ricorso);
  • eseguire le fasi del procedimento (es. memorie difensive);
  • raggiungere l’esito finale con una pronuncia del giudice (es. sentenza).

Pertanto che ruolo ha il linguaggio nella relazione tra diritto e comunicazione giuridica?

Il diritto necessita del linguaggio affinché il messaggio giuridico possa essere ben interpretato e compreso.

Un linguaggio semplice, immediato e efficace consente di instaurare una relazione comunicativa e di veicolare il messaggio all’interlocutore.

Il linguaggio giuridico racchiude diversi aspetti della comunicazione giuridica, quali:

  • la tipologia di tema e ambito di diritto che deve essere analizzato dal giurista;
  • il contesto comunicativo e giuridico in cui gli attori agiscono;
  • il ruolo dei soggetti (avvocati, giudice, parti) che interagiscono nelle diverse fasi del giudizio;
  • le attività legate al diritto (produzione, interpretazione e applicazione delle norme).

Parole d’ordine atti giudiziari: semplicità, chiarezza e cura della sintesi

Da questi presupposti, è doveroso costruire un atto giudiziario ben strutturato a livello sintattico ed espositivo, così da renderlo comprensibile:

  • non solo in relazione al suo contenuto,
  • ma anche alla logica che sta dietro al ragionamento del giurista, in ottica difensiva o decisionale.

La sfida per il giurista (avvocato/giudice) è mettere le basi per un nuovo modello di comunicazione giuridica che:

  • sia inclusiva;
  • metta al centro i destinatari del messaggio giuridico, ossia non solo gli addetti ai lavori (avvocato, giudice) ma anche le parti della controversia.

Anche queste ultime, infatti, hanno diritto a essere parte integrante del processo, sia come soggetti oggetto del giudizio, sia come parte attiva della comunicazione tra avvocati e giudice.

Comunicazione giuridica inclusiva

Di conseguenza, per dare luogo ad una comunicazione giuridica inclusiva, il giurista deve cambiare la sua percezione di destinatario degli atti giudiziari, quale soggetto (le parti) che di fatto “dialoga”, interagisce, non solo con l’avvocato ma anche con il giudice.

Il giurista, quindi, non deve essere portato a scrivere atti giudiziari “autoreferenziali”, da cui si evinca il suo essere edotto, istruito sulla complessità e conoscenza del diritto.

Dovrebbe invece utilizzare un differente tono di voce, semplice e chiaro – adottando criteri che comunque non vadano a sminuire la sua professionalità e competenza.

Quindi, ogni atto, dalla memoria difensiva dell’avvocato alla sentenza del giudice, deve  essere redatto tenendo conto dei:

da cui si evince che gli atti processuali devono essere redatti in linea ai principi di chiarezza e sinteticità.

Con il principio di «chiarezza» si intende un testo che sia leggibile, senza parti troppo articolate da risultare incomprensibili.

Mentre con il principio di «sinteticità» si richiama l’attenzione alla cura della sintesi; a un testo che non sia prolisso, ridondante con inutili ripetizioni che ne rallentano la fruibilità.

Quali sono i nuovi criteri di redazione degli atti giudiziari?

Il cambiamento di rotta è legato anche alla piena applicazione del processo civile telematico che ha decisamente modificato i parametri di redazione, trasmissione e conservazione degli atti processuali, dal formato cartaceo a quello informatico.

Pertanto, va da sé che scrivere atti giudiziari troppo complessi e articolati, ormai fruibili e consultabili su dispositivo elettronico, può essere uno dei fattori di rallentamento del processo.

Di conseguenza con il suddetto Decreto, il Legislatore è intervenuto mettendo dei paletti sui criteri di  redazione degli atti giudiziari e sui relativi limiti dimensionali, verso gli avvocati e i giudici.

Criteri di redazione

La struttura di ogni atto processuale quindi deve includere, tra i vari elementi richiesti (art.2, Decreto):

  • un’intestazione, con indicata la tipologia dell’atto e l’ufficio giudiziario davanti al quale lo si propone;
  • i riferimenti delle parti;
  • le «parole chiave» (20 al massimo) che identificano l’oggetto del giudizio;
  • il valore della controversia.

Limiti dimensionali

Ogni atto deve essere scritto seguendo degli specifici limiti dimensionali – spazi inclusi –  assegnati in base alla tipologia di atto (art.3, Decreto), con:

  • 80.000 caratteri, pari a circa 40 pagine, per atti come, ad es. citazione, ricorso, memoria difensiva;
  • 50.000 caratteri, pari a circa 26 pagine, per atti come, ad es. memorie, repliche;
  • 10.000 caratteri, pari a circa 5 pagine, come le note di udienza.

I suddetti limiti però possono essere superati qualora si riscontrino controversie di «particolare complessità» rispetto a «tipologia, valore, numero delle parti o natura degli interessi coinvolti» (art.5, Decreto), se di fatto il difensore presenta valide ragioni che giustifichino la necessità di tale scelta.

La cultura della redazione giuridica di atti giudiziari

Da un confronto avuto con alcuni avvocati in merito a queste novità redazionali, non sono tutti d’accordo nell’adottarle in quanto ritenute per taluni troppo restrittive, perché in un certo senso frenano la loro libertà di espressione mettendo a rischio il diritto di difesa.

Ci sono giuristi ancora legati ai criteri tradizionali del legalese, alla necessità di esprimere nell’atto giudiziario la dialettica del proprio pensiero giuridico nella sua articolata complessità tecnica, senza alcuna limitazione di forma e sostanza.

O altri che, ormai già avanti nella logica della sinteticità e chiarezza, ritengono le nuove linee guida non adeguate a favorire la semplificazione degli atti processuali.

Questo perché non vi è alcun richiamo all’utilizzo, ad esempio, di immagini e grafiche (tipico del Legal design) che possano essere un input maggiore all’applicazione dei principi richiesti.

In conclusione, il cambiamento deve essere non solo strutturale ma anche culturale: ogni giurista dovrebbe vedere questo cambio di rotta non come un limite, ma come un’opportunità per una migliore e coordinata gestione del processo del futuro sempre più digitale.

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