La cultura dell’indifferenza: un volto dietro la mascherina

Un volto dietro la mascherina, il silenzio delle strade, il lockdown, mesi intensi di fatica e sacrifici che hanno accentuato la distanza sociale e la “cultura dell’indifferenza”.

Ma la «cultura dell’indifferenza distrugge, distrugge perché ci allontana»: con queste parole Papa Francesco ha voluto dare un deciso messaggio a tutti noi.

Parole che dovrebbero far pensare tutta la comunità, credenti e non credenti.

Soprattutto in questo momento storico, in cui forte è la confusione, la paura, l’incertezza e l’inconsapevolezza di cosa accadrà nel nostro domani.

Quanti interrogativi dietro la mascherina?

In cui tanti sono gli interrogativi: quando usciremo da questa pandemia? Ne usciremo sconfitti o migliori?

Più consapevoli o irrimediabilmente indifferenti all’altro?

Saremo capaci di riavvicinarci fisicamente al prossimo?

Saremo in grado di vivere serenamente le nostre relazioni che da tempo siamo stati “costretti” ad allontanare?

Stiamo vivendo una vita come sospesa.

Se all’inizio della pandemia era così strano e inverosimile, camminando per le strade, con quel silenzio assordante, e nei luoghi chiusi, vedere le persone con la mascherina sul viso, ora essa è parte di noi.

Essa esce con noi tutte le mattine e rientra a casa tutte le sere per la nostra sicurezza.

Un volto dietro la mascherina

Una mascherina che copre tutti quei volti che incontriamo ogni giorno; che vede occhi impauriti, speranzosi ma anche indifferenti.

Volti indifferenti che non hanno compassione dell’altro, per cui le sofferenze e le ingiustizie umane non sono parte di loro.

Volti che chiedono agli indifferenti di essere ascoltati, che reclamano meno egoismo da parte di governanti e case farmaceutiche, soprattutto in questo momento difficile e faticoso per tutti.

Perché smettano di pensare solamente alle loro poltrone e alle loro tasche, al solo vile denaro.

Spinti da un personale appagamento del loro “io” a discapito del “noi”, dei valori, della dignità umana e della nostra stessa salute.

Volti che esigono di non essere dimenticati, che sperano nella saggezza di chi decide per la loro stessa esistenza.

La cultura dell’indifferenza

Volti profondamente insensibili a queste richieste che istigano alla

«cultura dello scarto individualista e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo»,

in un oggetto da usare per il proprio tornaconto e poi scartare.

Che vedono il debole, l’anziano, il disabile come soggetto inutile, come colui che in questa società del consumismo, della materialità e superficialità, dell’iperconnessione, non porta a nulla.

Dove forte è il menefreghismo, l’indifferenza, l’intolleranza, la disgregazione sociale e culturale a discapito dell’inclusione, dell’accoglienza e della vera relazione volta al rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della vita umana.

Quanto è importante comprendere che dobbiamo allontanarci dalla cultura dell’indifferenza perché divide invece di unire?

Riscoprire il “noi” al posto dell’“io”

Perché, soprattutto in questo momento di crisi sanitaria, sociale ed economica, per molti s’impone al centro della propria esistenza un interesse personale, l’“IO”, a discapito di un interesse comune, il “NOI”?

Un “NOI” che:

  • sia sinonimo di comunità, di relazione, di speranza, di cambiamento verso quella “cultura dell’accoglienza e dell’inclusione” che ci porta a capire ciò che veramente è importante;
  • sia fonte di coraggio per pensare e includere gli altri nella nostra vita;
  • ci aiuti a riavvicinarci al prossimo da cui ormai ci siamo allontanati – per paura o per proteggerlo – e con cui vogliamo comunicare.

Quanto è diventato difficile comunicare dietro questa mascherina?

Quando camminiamo per le strade vediamo persone o persone con la mascherina?

Comunicazione “mascherata”

Dietro ogni mascherina c’è una persona con una storia, desideri e speranze.

Una mascherina dietro la quale noi possiamo solo immaginare il volto e il sorriso della persona che incontriamo ma attraverso la quale noi continuiamo comunque a comunicare.

Una comunicazione fatta di sguardi e parole, fatta di ascolto ma ovattata da quell’intrusa che, per il fatto stesso di essere sul nostro viso, ci ricorda della necessità di stare a distanza a discapito della naturalità della relazione umana.

Non permettendoci di vivere completamente quell’emozione o stato d’animo che l’altro ci vuole trasmettere o che noi desideriamo suscitare nell’altro.

Il volto è espressione della comunicazione verbale e non verbale ma se coperto dalla mascherina lo scambio comunicativo si impoverisce, è incompleto perché non ci permette di comprendere appieno le parole.

Perché ciò che percepiamo con la mascherina può non corrispondere a ciò che effettivamente viene detto, anche se siamo certi di aver compreso tutto.

Cambia quindi il tipo di ascolto: se prima era sostenuto da un sorriso o da una tipica espressione del volto, ora deve essere un ascolto più profondo, più attento in cui intensa è anche l’immaginazione.

Si cerca quindi di trovare il consenso di ciò che ci è stato comunicato negli occhi del nostro interlocutore, nei suoi gesti.

Ma cosa si perde in questo tipo di comunicazione?

Si perde la bellezza dell’incontro reale fatto di sguardi, di sorrisi, di espressività e di abbracci.  Si perde la vera essenza della relazione.

La sfida nel futuro sarà quelle di riuscire, nel cambiamento, ad essere capaci di riavvicinarsi gli uni con gli altri senza timore, coscienti che non potremmo rivivere il passato.

Tutto sarà diverso, tutto sarà nuovo. Starà a noi essere migliori di quello che è oggi, rispetto a ciò che sarà domani.