“Selfite”: disturbo psicologico o semplice bisogno di apparire?

Cos’è la “selfite”? Un semplice bisogno di apparire, di esserci nel mondo Social? O è espressione di un disagio più profondo che può tradursi in un disturbo psicologico?

Chi tra di noi non si è mai fatto un “selfie”…scagli la prima pietra!

Chi ogni giorno non scatta almeno un selfie e lo condivide alla mercé dei Social, con lo scopo di ottenere più “like” e commenti degli altri?

Ma ti sei mai chiesto qual è il motivo che ti porta a scattare ogni giorno, anche in maniera ossessiva, questi autoscatti (selfie) divertenti, naturali, costruiti, pensati, ma anche rischiosi?

Cos’è la “selfite”?

Il termine inglese “selfie” significa “autoscatto”, l’azione che facciamo quando ci mettiamo in posa davanti allo schermo del cellulare, ovunque ci troviamo, in qualsiasi momento della giornata, senza alcun motivo apparente di voler immortalarci per i posteri… o meglio per i Social!

Per condividere all’istante quello scatto, quasi a dimostrare  che non farlo significa non essere nessuno, non esserci nel mondo dei “like”, della superficialità, nel mondo virtuale dove l’immagine di sé diventa più importante del sé.

Dove si pensa che noi ci possiamo riconoscere solo tramite l’idea di come l’altro ci vede in quell’autoscatto.

Pertanto, nel momento in cui fare selfie diventa un bisogno compulsivo, tale per cui se non mi scatto una foto, almeno una volta al giorno, non sto bene con me stesso, vado in ansia… perbacco…non sia mai che ci rinuncio!

Ebbene, l’ossessione di scattare abitualmente selfie con lo smarthphone e pubblicarli subito sui Social per ottenere tanti like e commenti,  si chiamaselfite” e può diventare un vero e proprio disturbo psicologico.

Un disturbo  che può essere espressione di un disagio comportamentale e che, in base al livello di ossessione manifestato, assume diversi gradi di gravità[1]: “cronica”, “acuta” e “borderline”.

Livelli di gravità della “selfite

La “selfite cronica” consiste nel continuo bisogno di scattare selfie e pubblicarli subito sui Social: di norma si parla di almeno sei selfie al giorno.

La “selfite acuta” consiste nello scattare almeno tre selfie al giorno e di condividerli subito sui Social.

La “selfite borderline” consiste nello scattare quotidianamente almeno tre selfie, con l’idea di pubblicarli  magari in un secondo momento.

Sei dipendente dai “selfie”?

Tu dove ti collochi in questa classificazione? Sei dipendente dai selfie?

Basta guardarsi in giro, in strada, sui mezzi di trasporto e ahimè… anche in auto, per vedere giovani e adulti che non mancano di scattare un selfie, “atteggiandosi” davanti alla fotocamera del loro telefonino, per una condivisione immediata sui Social, perché? Per il bisogno di apparire?

Un passaggio dal reale, il vivere quotidiano, al virtuale, dove è più importante l’immagine di noi stessi, il “nostro apparire” agli occhi di chi ci “clicca” sul web, piuttosto che la nostra persona, quello che siamo veramente nella nostra umanità.

Perché solo in questo modo si è convinti di acquisire valore di fronte agli altri, di essere qualcuno.

La “selfite diventa quindi una moda,  è espressione di una necessità di autoaffermazione e di desiderio di mostrare agli altri la propria identità: farlo con il selfie perfetto diventa il must!

Ma se  l’autoscatto diventa un’azione ossessiva e compulsiva può essere dannoso, soprattutto per i giovani che lo vedono esclusivamente come un divertimento.

Il perché della  “selfite

Sorge spontanea la domanda: cosa spinge una persona a fare selfie?

Alla base di questo comportamento sicuramente c’è la continua ricerca di attenzioni, il desiderio di  raccontarsi attraverso queste immagini per accrescere la propria autostima, per migliorare il proprio umore perché così facendo ci si sente felici.

  Connettersi alla comunità virtuale

Per non essere esclusi dalla comunità virtuale, perché condividere selfie quotidianamente garantisce di essere sempre connessi ad essa, dimostrare che ci sei!

    Creare un ricordo

Ma c’è anche il bisogno di crearsi dei ricordi per paura di perdersi il momento, come se la nostra memoria non fosse in grado di rendere indelebile quel ricordo, ma questo fosse possibile solo tramite quella fotocamera e un semplice “click”.

O unicamente perché lo fanno tutti? E quindi dove sta la personalità di ogni individuo, la sua unicità?

Ma attenzione! Se l’abuso di questa pratica, diventa un’esigenza a cui non si può assolutamente rinunciare, parte integrante del nostro vivere e quindi una dipendenza – come espressione di un proprio narcisismo digitale – è necessario accendere un campanello d’allarme, perché essa non si trasformi in un problema sociale.

La “selfite” come problema sociale

La pratica del selfie quindi da semplice “bisogno di apparire” può trasformarsi in un “disturbo psicologico”, così profondo da non riuscire a comprendere fino a quale punto ci si può spingere per cercare il “selfie perfetto”.

   Mancanza di autostima

Dietro l’atto compulsivo infatti ci sono adolescenti che vivono uno stato di profondo disagio, di mancanza di autostima, dove vince la tristezza, la delusione, sino a vergognarsi di se stessi. L’utilizzo del selfie è un mezzo per nascondere questa fragilità, per apparire invece al mondo del web, spigliati e sicuri di sé.

Si è convinti che tramite il selfie, l’immagine di sé “perfetta”, si può ottenere il riconoscimento e l’apprezzamento degli altri, così da sentirsi in connessione con la comunità virtuale.

La pratica del selfie è diffusa soprattutto tra gli adolescenti che, già tra i 10 e i 12 anni, iniziano a fare foto a se stessi, anche davanti allo specchio, in atteggiamenti da grandi e purtroppo anche intimi.

Questo è tipico soprattutto delle ragazze  che mostrano il proprio corpo, provando e riprovando per raggiungere il selfie perfetto da tenere nel loro album di foto, ma spesso e volentieri da condividere.

   La “bellezza perfetta!

Complice anche un’errata diffusione online della “bellezza perfetta”, senza imperfezioni, e il desiderio di rispondere a quei criteri di bellezza che implicano, per chi è ancora alla ricerca della propria identità, come l’adolescente,  di cadere nel baratro della paura dell’imperfezione, del non sentirsi adeguati.

E quindi dell’idea di rifugiarsi in quell’immagine perfetta online per scappare dal confronto offline con se stessi e con le proprie imperfezioni e fragilitàespressione della nostra unicità.

Una volta condiviso il selfie, s’innesca un meccanismo di eccitazione e di ansia in attesa di vedere quanti like e commenti vengono raggiunti.

Il selfie “killer

Ma se, per ricercare il selfie perfetto, per ottenere sempre più like, attirare sempre più followers, ci si spinge oltre al mero divertimento e la pratica del selfie diventa pericolosa, allora bisogna fare un passo indietro perché si rischia la vita stessa.

Ebbene, purtroppo è ormai diffusa, soprattutto tra i giovani, la pratica di scattare selfie in situazioni pericolose ed estreme – sui binari del treno, alla guida di un’auto, sul tetto di un edificio – sfidando la vita, semplicemente per un autoscatto che sia più “social” degli altri.

Ma è possibile rischiare la vita solo per vivere un puro momento di adrenalina, mettersi in mostra di fronte agli amici, per dimostrare di essere altro, o semplicemente per provare qualcosa di diverso?

No, direi proprio di no!!!

Questo modo di agire certamente deve farci riflettere sul perché molti giovani non si rendono conto di quanto la vita sia preziosa e che metterla a rischio per un gioco… è pura follia!

Occorre rimanere sempre vigili di fronte a questi comportamenti estremi dei nostri giovani, per contrastarli e per guidarli alla consapevolezza della gravità di certi gesti.

Dobbiamo essere per loro un esempio e un punto di riferimento su cui è possibile fare sempre affidamento, per cui dimostriamo loro che, noi prima di tutti, possiamo fare a meno di questa inutile “mania  digitale” e che siamo in grado di dosarla.

Non facciamoci cogliere in flagrante mentre permettiamo alla “selfite” di  sopraffarci.

Perché se manchiamo di credibilità di fronte ai giovani, come possiamo essere per loro un modello da seguire e da cui imparare?